I probiotici nelle patologie gastrointestinali: acquisizioni e limiti

Gianfranco Delle Fave 1, Cristiano Pagnini 2

1 Ordinario di Gastroenterologia, Sapienza Università di Roma; 2 UOC Gastroenterologia e Endoscopia Digestiva, Ospedale S. Giovanni Addolorata, Roma; Onlus Sant’Andrea, Roma

L’eterogeneità nel microbiota intestinale, risulta essere di genere, di distretto corporeo, di età, e risente inoltre dell’alimentazione abituale. è importante sottolineare che la diversità tra individuo e individuo, in termini di specie e ceppi batterici, è piuttosto rimarchevole: ogni individuo in genere ha un proprio pattern distintivo di composizione batterica del microbiota. I numerosissimi studi sui meccanismi di azione dei probiotici, hanno risentito e risentono della difficoltà di “traslare” dal laboratorio (studi in vitro) i risultati ottenuti, all’uso prettamente clinico. Infatti, la riproduzione in vitro di un ambiente così variegato in termini di chimica e di fisica, come è l’intestino umano, risulta praticamente impossibile. Esistono quindi dei limiti ai risultati finora prodotti. Un esempio di ciò è dato dalla necessità di fornire l’evidenza che ogni batterio somministrato per via orale sia in grado di sopravvivere al pH acido gastrico e al pH alcalino intestinale, nonché alla bile presente in esso. Giusto per ricordare che nello stomaco vige un pH 2 <; a partire dal duodeno il pH va a superare gli 8-8,4 < e inoltre è presente la bile che chimicamente è un detergente. Nel colon il pH è 7. Non è possibile dunque eseguire i test in condizioni di “real world”: in altre parole, il probiotico o la miscela di probiotici assunti si troveranno difficilmente nelle condizioni sperimentali utilizzate per caratterizzarli. Questo va sottolineato in quanto, recentemente, due articoli, uno in vitro e un altro come redazionale apparso su questa stessa rivista, hanno comparato diversi lattobacilli attualmente in commercio in condizioni di simulated gastric and intestinal secretion e tali dati sono stati poi ripresi e riportati a implicazioni cliniche. In altre parole, la valenza del superare il pH acido e il pH alcalino del duodeno e dell’intestino non può assolutamente esser traslata nella pratica clinica in quanto la media di ore in cui l’intestino è a completo digiuno, cioè come rappresentato nello studio in vitro, è completamente diversa. Questo è dimostrato dal fatto che questi integratori sono in commercio da anni ed esistono lavori che ne dimostrano l’efficacia clinica a livello dell’intestino tenue e del colon. Nel 2018, un lavoro ha dimostrato come utilizzando la tecnica molecolare di finger DNA, trattando per 7 giorni con Lactobacillus rhamnosus GG e confrontandolo con lo stesso ceppo al dosaggio doppio, il DNA di questo batterio, è stato ritrovato e quantificato nei soggetti trattati nella mucosa nell’ultimo tratto del colon. Questo dato è in palese contraddizione con le deduzioni fatte da Vecchione e Gasbarrini che hanno dimostrato come in 30 minuti in ambiente acido il tale ceppo scompare, non fornendo alcuna indicazione su come questo abbia un’attività clinicamente dimostrata. Questo ed altri esempi dimostrano come sia impossibile trarre alcuna indicazione dagli esperimenti in vitro in condizioni di simulate “fisiologiche” funzioni gastrointestinali; l’acritico trasferimento di questi dati ai risultati ottenuti negli ultimi 20-25 anni da questi batteri ne dimostra la loro non traslabilità nella pratica clinica.

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