Maltrattamenti e abusi sui minori. Considerazioni ed evidenze scientifiche in chiave epigenetica

Xena Giada Pappalardo

ISN-CNR, Catania

Dietro i segni di un maltrattamento fisico, psicologico o sessuale, le ripercussioni più profonde sono nascoste nel genoma di un bambino, così come rivelano gli studi della ricerca attuale. Grazie al progresso delle tecniche di indagine molecolare, è migliorata sensibilmente la conoscenza degli effetti neurobiologici e neuropsicologici, a breve e a lungo termine, che scaturiscono a seguito di fenomeni di violenza. Inoltre, le indagini di neuroradiologia funzionale, hanno anche dimostrato che l’abuso infantile, soprattutto nel periodo precoce della vita e/o ripetuto nel tempo, può causare danni permanenti tra cui la comparsa negli anni di modifiche anatomo-funzionali riscontrate in corrispondenza di alcune specifiche aree cerebrali, quali la regione del corpo calloso, del cervelletto e dell’amigdala 1. Le conseguenze di un abuso spesso sono immediate e possono condizionare il resto della vita con danni permanenti, a causa di estese alterazioni riscontrate nell’attività di numerosi geni. In tal senso, le modifiche neurostrutturali possono ascriversi agli effetti che subisce il genoma contenuto nelle cellule del sistema nervoso centrale. Vi sono casi, tuttavia, in cui le vittime riescono a superare l’impatto del trauma infantile ripristinando gli equilibri fisici e psicologici che erano stati violati. Approfonditi studi hanno messo in evidenza, a questo proposito, che alcuni fattori protettivi sono in grado di ristabilire e correggere i segnali aberranti che il trauma ha fissato sopra il genoma, attraverso la confluenza di numerosi interventi di tipo riparativo, quali ad esempio quello psicoterapeutico, assistenziale, familiare, scolastico, la partecipazione ad attività sportive e ludico-ricreative. In particolare, negli ultimi anni, si cerca di approfondire l’importanza dell’influenza reciproca tra geni e ambiente nello sviluppo dei disturbi causati dal maltrattamento infantile, ma anche il ruolo difensivo di determinate misure cautelative, che dall’ambiente esterno attivano nell’organismo specifici meccanismi molecolari di riparazione nella regolazione dei geni, in grado di ricostruire una propria identità positiva. Gli effetti di un trauma infantile corrispondono a eventi ambientali potenzialmente reversibili, noti come cambiamenti epigenetici, in grado cioè di alterare la struttura e le funzioni del genoma, lasciando invariata la sequenza del codice genetico, diversamente quindi da una mutazione ereditata in modo mendeliano o dai cambiamenti indotti dagli agenti mutageni. È stato dimostrato che le vittime degli abusi durante l’infanzia e l’adolescenza hanno minori aspettative di vita, a causa di una riduzione osservata nell’estremità telomeriche (le regioni terminali dei cromosomi eucariotici), che comporta un rischio sensibilmente più alto di mortalità per invecchiamento precoce, sviluppo di tumori e di svariati disturbi stress-correlati, tra i quali i disordini autoimmuni, gastrointestinali, metabolici e neuropsicologici 2 3. Talvolta, in mancanza di misure preventive efficaci, le tracce della violenza subita nell’infanzia rimangono impressa “nella memoria” del DNA, generando conseguenze che si manifestano più tardivamente nella vita. Dalla letteratura scientifica emerge pertanto che non bisogna limitare il problema diagnostico solo al bambino: l’adulto maltrattato nell’infanzia presenta un rischio superiore di sviluppare numerosi disturbi neuropsichiatrici e comportamentali 4. I più comuni sono il disturbo posttraumatico da stress (DPTS) 5 6, il disturbo antisociale della personalità 7 e in particolare nelle donne, con storie pregresse di abusi fisici e sessuali nell’infanzia 8 9, sembra accompagnarsi anche il rischio di sviluppare una grave forma di depressione postpartum (nota come DPTS post natale).

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