Il trattamento delle epilessie in età pediatrica ha implicazioni particolarmente complesse ed è gravato da un ampio margine di arbitrarietà che ha origini multiple. Un primo elemento di grande complessità risiede nella eterogeneità etiologica delle epilessie con esordio infantile e nella varietà delle forme sindromiche, talvolta molto rare, di diversa gravità e con profili evolutivi spesso imprevedibili. A questa complessità intrinseca si possono sovrapporre difficoltà da parte di chi deve studiare il bambino con epilessia nel disporre di tutti i mezzi necessari per approfondire e concentrare in breve tempo gli elementi su cui si fonda il processo decisionale terapeutico. Un secondo elemento di complessità deriva dalla bassa specificità dei trattamenti disponibili. Non solo per la maggioranza dei farmaci il meccanismo di azione rimane scarsamente o per nulla conosciuto, spesso tanto quanto lo è il meccanismo alla base del processo epilettogeno del malato, ma non vi è nemmeno evidenza sul profilo di efficacia nella specifica condizione che si vuole trattare. Le cause di questa situazione risiedono non solo nella eterogeneità di cui si è parlato sopra, ma anche nella macchinosità dell’iter che conduce alla autorizzazione e introduzione sul mercato di molecole ad azione antiepilettica. Storicamente, gli studi di efficacia e autorizzativi sono stati inizialmente condotti sugli adulti e solo successivamente, e non sistematicamente, su soggetti in età pediatrica. Alternativamente il giudizio di efficacia nel bambino è prodotto, in modo assai indiretto, tramite un processo deduttivo derivante da studi sugli adulti, inevitabilmente condotti su popolazioni con forme di epilessia scarsamente paragonabili a quelle tipiche dell’età infantile. Sebbene gli organi regolatori abbiano negli ultimi anni recepito queste gravi limitazioni e lavorato per ridurne le conseguenze, l’iter che conduce dalle fasi preliminari di individuazione di nuove molecole di interesse alla loro disponibilità in ambito pediatrico resta lungo e incerto e dipende da un numero elevato di fattori sui quali non necessariamente è possibile agire in modo efficace. Purtroppo, sullo sfondo restano molti passaggi limitanti, alcuni dei quali inconcepibili per chi è dalla parte del paziente o per chi opera in un sistema sanitario come il nostro che pone la cura dei soggetti più vulnerabili al centro della propria ragion d’essere. Basti pensare allo scarso interesse all’iniziativa industriale derivante dal ridotto ritorno economico per i farmaci approvati sui bambini, derivante dal ridotto numero di pazienti pediatrici, alla necessità di studiare bambini di diverse fasce di età (frazionando quindi ulteriormente il campione), a quella di preparare formulazioni dei farmaci appropriate per i bambini che non possono inghiottire compresse, alla difficoltà di reclutare i pazienti per trial farmacologici attraverso il consenso informato dei genitori, alla expertise non sempre sufficiente dei comitati etici in ambito pediatrico.
Proprio per tentare di circoscrivere le conseguenze negative di queste limitazioni e l’eccesso di soggettività della scelta terapeutica che ne può derivare, non sono mancate iniziative di gruppi di esperti che in vari paesi hanno tentato di raccogliere in modo sistematico evidenze o semplici esperienze, formulando ‘raccomandazioni’ o vere e proprie ‘linee guida’. Vi è una differenza sostanziale però fra ‘raccomandazioni’ e ‘linee guida’. Le prime sono basate su opinioni secondo un processo variamente documentato e spesso totalmente soggettivo, influenzato dalla propria esperienza personale e magari dalla pressione che la massa critica di informazioni non controllate, anche solo pubblicitarie, possono determinare, le seconde sono il frutto di un processo di validazione e classificazione del livello di evidenza, formulato dopo una analisi qualitativa e quantitativa di tutta la letteratura disponibile, finalizzato ad aiutare i clinici nel reperire in modo rapido tutte le informazioni reperibili per affrontare in modo documentato il processo decisionale o, almeno, a essere consapevoli che una vera evidenza per una determinata forma di epilessia o per un determinato farmaco non esiste e che la scelta sarà solo basata sulla propria esperienza o intuizione, secondo ‘scienza e coscienza’. Le sole linee guida che hanno incluso in modo sistematico il trattamento della epilessia pediatrica sono quelle prodotte nel 2012 dal National Institute for Health and Care Excellence ‘NICE’, nel Regno Unito. Poiché la metodologia seguita per elaborare quelle linee guida ha seguito un processo standardizzato e ripetibile e la realtà sanitaria clinico-assistenziale di quell’area geografica non è molto differente da quella italiana, dopo averne analizzato criticamente nel dettaglio i contenuti specifici, abbiamo utilizzato quanto prodotto dal NICE come base di evidenza per un aggiornamento che ha incluso la letteratura comparsa nel triennio successivo e le istanze più specifiche della nostra cultura e prassi nazionale in ambito di epilessia pediatrica. Questo sforzo è stato possibile grazie al contributo dei rappresentanti delle principali Società Scientifiche che, avendo un interesse nello studio delle epilessie, hanno accettato di partecipare all’iniziativa, delle principali Associazioni Laiche del mondo dell’epilessia e di vari esperti indipendenti di grande profilo scientifico, operanti all’interno di realtà istituzionali storicamente molto dedicate alla cura delle epilessie pediatriche. Con questo sforzo collettivo speriamo di avere fornito a tutti gli operatori del settore e ai pazienti un riferimento di facile consultazione che possa contribuire a ridurre il margine di arbitrarietà che inevitabilmente, in assenza di informazione sistematizzata, può condizionare l’operato o il giudizio di ognuno in questo ambito.